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Sandro Pertini e la Puglia: «Quando mangiò fave e cicorie nella mensa dell’Ilva…»

Elena Albanese
Sandro Pertini
Enrico Cuccodoro, autore del saggio "Gli impertinenti", ha raccontato di quando il Presidente mangiò fave e cicorie alla mensa dell'Italsider e del crocifisso di legno d'ulivo donatogli da don Tonino
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“Era un capopopolo”, disse di Sandro Pertini il suo successore alla carica di Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Perché era una figura che gli italiani riconoscevano, in cui vedevano una guida e un punto di riferimento. Era un vero e proprio gigante. Della politica, ma non solo.

«È una di quelle persone che oggi (ci) mancano, quelle che riescono ad avvicinare le istituzioni ai cittadini». Così si è espresso il sindaco di Ruvo di Puglia Pasquale Chieco nell’introdurre la presentazione del saggio “Gli impertinenti”, dedicato dal professor Enrico Cuccodoro al viaggio di quattro giorni che Pertini e a sua moglie Carla intrapresero lungo tutta la nostra regione nel marzo del 1980, all’indomani degli assassinii di Piersanti Mattarella e Vittorio Bachelet, in un momento molto delicato per il Paese. Un testo che poi si è arricchito nel tempo. «Il libro è cresciuto come un soufflé – ha detto l’autore -, grazie soprattutto alle numerose testimonianze raccolte in questi anni».

Cuccodoro, oltre ad esserne studioso (è coordinatore nazionale dell’Osservatorio istituzionale “Sandro e Carla Pertini” e professore di Diritto costituzionale all’Università del Salento), è un vero appassionato delle vicende del Presidente partigiano, probabilmente il più amato della nostra breve storia repubblicana. «È stato soprattutto un educatore per i giovani, insegnando loro moralità politica e giustizia sociale. Ne ha formati oltre 500mila, anche in terra di Puglia. Conosceva bene la nostra regione», ha detto, ospite la settimana scorsa nel bookstore Mondadori a Bisceglie e nella sala consiliare ruvese, che proprio a Pertini è intitolata. Nel corso di quel viaggio, per esempio, pur non passando per Andria e Barletta, volle incontrarne le rappresentanze locali, ma soprattutto gli studenti. Allora stravolse il cerimoniale e fece organizzare una tappa nella piazzola di sosta di Monterotondo, sulla A14.

La sua umanità e la sua semplicità hanno sempre piacevolmente stupito chi lo incontrava, e hanno portato a considerarlo alla stregua di un amico. «La gente per strada lo abbracciava, lo chiamava “Sandro!”», racconta ancora il professor Cuccodoro, in un fluire di aneddoti che riportano subito alla mente quanto tramandato dall’iconografia più nota di Pertini: gli occhiali, la pipa e il sorriso; e ancora la partita a carte con i Campioni del Mondo sul DC-9 che li riportava in Patria e le chiacchiere sull’Adamello innevato con Giovanni Paolo II.

Ma torniamo a quella discesa in Puglia, nella quale non lesinò fuori programma e colpi di scena. Visitò l’Italsider di Taranto (l’attuale Ilva), dove lavorava suo cognato, il fratello di Carla, e mangiò nella mensa insieme agli operai. «Chiese fave e cicorie, che erano il suo piatto preferito». Fu anche un vegetariano ante litteram.

A Turi, dove tornò per ricevere la cittadinanza onoraria, visitò il carcere in cui era stato rinchiuso. Accarezzò il letto e pianse.

Infine giunse a Maglie, città natale di Aldo Moro, lo statista rapito e assassinato solo due anni prima dalle Brigate rosse. Tutti si aspettavano un discorso, ma Pertini non parlò. Si fermò dinanzi alla lapide fatta apporre davanti al palazzo municipale, e firmata dai Democratici del Salento, si sollevò in punta di piedi e la accarezzò con la mano. «Si sentiva un supplente – ha spiegato Cuccodoro -, perché sapeva che se non l’avessero ucciso sarebbe stato lui il Presidente. Ogni 9 maggio si recava sulla sua tomba».

Il professore ha raccontato in chiusura di serata di un incontro molto intenso e poetico con un altro pugliese. È un giovane don Tonino Bello che, nel 1984, appena divenuto vescovo della Diocesi di Molfetta, giunge al Quirinale per porgere i suoi ossequi. «Fu un colloquio bellissimo». Pertini che nota l’anello episcopale al dito del prelato, e lui che gli rivela “è la fede nuziale di mia madre”. Poi l’uomo di chiesa si toglie il crocifisso, fatto di legno d’ulivo della nostra terra, e lo mette nelle mani del presidente, del partigiano, dell’ateo. Che lo accetta con gratitudine.

mercoledì 31 Gennaio 2018

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