Cultura

Bonaventura Bellomo, il teologo e intellettuale terlizzese che fu apprezzato studioso di Dante

Vito Bernardi
Bonaventura Bellomo
Nato a Terlizzi, lo studioso soggiornò a lungo a Napoli e Firenze, ma non dimenticò mai la sua città, dove morì nel 1874 a soli 38 anni
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Il settimo centenario della morte di Dante (Firenze 1265 – Ravenna 1321) e il 160° anniversario dell’Unità d’Italia, che ricorrono quest’anno, rappresentano l’occasione propizia per presentare la figura del terlizzese Bonaventura Bellomo, profondo conoscitore a livello europeo del Sommo Poeta, autorevole intellettuale dell’Ottocento i cui studi, poco conosciuti, incontrarono il favore della critica e della intellettualità italiana specie fiorentina; ma anche ardente patriota che con azioni e con i suoi scritti si batté per l’indipendenza e la libertà della nostra Italia.

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Nasce a Terlizzi il quindici febbraio del 1837 da Michele Bellomo e da Rosina Cataldo. Il 3 dicembre del 1850, aveva appena quattordici anni, veste l’abito ecclesiastico nel Seminario Collegio di Molfetta e vi rimane fino al 24 settembre del 1853. Nell’ottobre del 1853, ottenuto il permesso dal vescovo Nicola Maria Guida, insieme all’arciprete curato della Cattedrale di Terlizzi, Francesco Paolo Vallarelli, si reca a Napoli ed entra nel Convitto ecclesiastico gestito dai padri della Compagnia di Gesù. A Napoli rimane due anni, decisivi per la sua formazione, durante i quali approfondisce gli studi letterari, la linguistica e le discipline teologiche ed esegetiche. Per la sua ottima preparazione riceve dai padri l’incarico di insegnare lettere latine e greche. L’ambiente napoletano in cui vive Bellomo è influenzato dai ”Principi della Scienza nuova” di Gianbattista Vico, ispiratori di una nuova visione della Storia e dalle riflessioni politiche di Vincenzo Cuoco sulla rivoluzione e sul concetto di Nazione. Principi e riflessioni che hanno una forte presa sul giovane Bonaventura. Nel 1854, avendo completato il triennio stabilito dalla normativa tridentina, riceve a Napoli la tonsura e gli Ordini Minori (ostiariato, lettorato, esorcistato, accolitato).

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L’esperienza napoletana si interrompe nel 1855. A maggio ritorna a Molfetta richiamato dal vescovo Guida. La Molfetta che Bellomo trova è completamente cambiata. Il vento del cattolicesimo liberale soffia forte, influenzando anche il clero. Indirizzi didattici nuovi e corpo docente ben preparato facevano del seminario molfettese un istituto all’avanguardia. Il Bellomo trova in seminario ottimi professori come Girolamo Nisio (1827-1907) e studenti diligenti come il conterraneo Pasquale Fiore (1837-1914). Vi rimane fino all’aprile del 1858,compiendo con regolarità il corso di studi fino alla teologia e diventando nello stesso anno suddiacono. Dal 1853 era vacante la carica di teologo del Capitolo Cattedrale della Chiesa di Terlizzi a causa della morte avvenuta nel 1854 del canonico, già carmelitano, Michele Tamborra, teologo e filosofo. Il Nostro in data 15 maggio 1858 fa istanza al vescovo Nicola Guida di partecipazione al concorso per il posto di teologo. Vi partecipa il 27 maggio in Molfetta, presentando in latino un magnifico elaborato in risposta ad alcuni quesiti che gli erano stati posti relativi a questioni teologiche. Nel 1859 viene ammesso al diaconato e al presbiterato. La cultura liberale ormai dominante, gli influssi della filosofia di Antonio Rosmini (1797-1855) lo influenzano, lo condizionano e gli provocano contrasti con l’autorità ecclesiastica e quindi una crisi vocazionale. Nell’opera ”La Chiesa Cattolica e la Corte Romana” (Napoli, Gioia, 1861) così si esprime: ”Amo la Religione di Cristo e l’Italia e per quegli amori mi chiamo e sarò sempre Sacerdote Cattolico Romano”. Questo travaglio spirituale lo esternerà il 4 febbraio 1862 ad Alessandro Manzoni, inviandogli da Napoli la citata opera accompagnata da lettera autografa. Gli anni 1860-1861 sono anni cruciali per le sorti dell’Unità Italiana. I problemi politici e sociali lo vedono impegnato attivamente. Nell’ottobre del 1861 nello scritto ”Un pensiero e un voto per la Patria mia” (Napoli, Gioia, 1861) fa un’analisi spietata delle precarie condizioni in cui l’Italia intera e in particolare il popolo meridionale erano caduti e vissuti. Parla anche delle gesta patriottiche, della entusiastica ed intensa partecipazione il 21 ottobre 1860 del popolo terlizzese al Plebiscito, tenutosi presso la chiesa del Monte dei Morti (Purgatorio): ”Levati più arditi e forti del’99, del’20 e del’48, noi Terlizzesi prontamente rispondemmo all’appello d’Italia, e vedemmo, la Dio mercè, il giorno avventuroso di nostra liberazione”. In un altro lavoro “Di un pensiero intorno alla instruzione letteraria feminile” (Firenze, Cellini, 1864), non trascura il fondamentale ruolo che deve assumere la donna nella vita della nuova nazione e quindi l’importanza e la necessità di una istruzione che la renda libera da ogni condizionamento.

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A Firenze, ove si era trasferito, si dedica intensamente allo studio del Sommo Poeta. I salotti culturali fiorentini dei Peruzzi e dei Corsini, rinomati cenacoli della intellettualità liberale toscana e nazionale, lo cercano per la sua profonda conoscenza e per l’interpretazione acuta delle opere dantesche. Collabora alla rivista ”Letture di famiglia” la quale aveva come collaboratori firme prestigiose. Basti citare il Carducci, il Tommaseo, il De Amicis. Nel 1864 a Firenze si costituisce un Comitato incaricato di dare il giusto rilievo alle celebrazioni per il Sesto Centenario della nascita di Dante, da tenersi nel 1865 dal 14 al 21 maggio. Il Bellomo, conosciuto quale esperto in questioni dantesche, viene invitato dal segretario del Comitato Guido Corsini a farne parte e a dare un suo contributo scritto per le celebrazioni del 1865. Accetta l’invito e nel 1864 dà alle stampe l’opera ”Della Festa Nazionale per il Sesto Centenario della nascita di Dante Alighieri” (Firenze, Cellini, 1864). In questo lavoro invita  i giovani a leggere e a studiare attentamente l’Alighieri definendolo ”padre della moderna civiltà non solo italiana ma europea” e prosegue dicendo "da fiero ghibellino volle politicamente l’Unità italiana e da altissimo poeta e vate ne creò il forte e potente vincolo colla potenza del linguaggio”. Proprio nella lingua il popolo, durante le lotte del Risorgimento, si riconosceva e desiderava che ”in tutto il bel Paese non sia che una favella ed un solo linguaggio” come afferma il Nostro in “Della lessicologia italiana di Francesco de Viti” (Rivista ”Bologna” – Bologna, Monti, 1868). L’anno del Sesto Centenario della nascita del Poeta vede la partecipazione del Bellomo alla stesura, quale coautore, dell’opera dal titolo: ”La Divina Commedia di Dante Alighieri: esposta al popolo da un toscano…” di B. Bellomo – S. Brigidi (Firenze, Alla Galileiana, 1865). Con magistrale precisione, nella seconda parte del testo, relativa alla vita e alle opere del Poeta, espone dati, fatti, vicende legati alla vita di Dante. Fa un elenco degli studi elaborati nel tempo sulle opere del nostro maggior Poeta, le diverse edizioni della Divina Commedia a partire dal 1400 fatte in Italia e in diverse lingue d’Europa fino alla metà dell’Ottocento. Ritorna a Napoli ove termina di scrivere nel 1869 l’opera “L’uomo nella vita sociale” (Trani, Vecchi, 1925), che vedrà la luce solo nel 1925 con prefazione dello scrittore e politico ruvese Raffaele Cotugno (1860-1939). La stampa fu possibile grazie all’impegno del fratello minore Giovanni che conservava tutti i manoscritti del fratello sacerdote. Nell’opera il Bellomo fa propria la metodologia pedagogica risorgimentale che vedeva nella educazione popolare il vero riscatto del Paese e in particolare del Meridione. Esaminando la famiglia fa riferimento alla concezione dantesca dell’amore riportata nel canto XVII del Purgatorio, distinto in amore naturale e amore d’elezione o d’animo; afferma che solo l’amore d’animo, per la cui formazione ha un ruolo fondamentale la presenza femminile, costituisce  la base di ogni legame familiare. Il Cotugno (1860-1937) nella prefazione dichiara che "Il Bellomo è da annoverarsi tra i migliori interpreti della Divina Commedia sia per la larga e soda cultura ch’egli mostra di possedere nella storia e nelle umane lettere, sia per la squisita bontà del gusto e la felicità dell’intuito che gli consentono di cogliere il bello e dichiararlo con semplicità di concetti e di forma”. Ritornato nella sua Terlizzi abita nel palazzo di famiglia sito in strada Bellomo (poi Sant’Ignazio ora via Mazzini). Viene colpito da una grave insufficienza polmonare che accompagnata da una brutta caduta da cavallo lo porterà alla morte. Il 21 settembre del 1874, tre giorni prima del decesso, mette per iscritto una dichiarazione con la quale rivede alcune sue prese di posizione sulla dottrina della Chiesa che sempre ha considerato “Madre e sola ed infallibile Maestra di verità”. Inoltre con umiltà di cuore riconferma la sua totale ubbidienza e sottomissione al Pontefice romano e al Vescovo diocesano, invitando il primicerio Giuseppe Caputi, suo confessore, a dare alle stampe la dichiarazione. Bonaventura Bellomo di anni trentotto muore di ‘polmonia’ il giorno venticinque settembre del 1874. Il cadavere riceve l’officiatura ‘more sacerdotali’ da parte del parroco Nicola Nuzzi. Viene seppellito nella cappella di famiglia detta la “tomba dei Giusti”, ove fino al 1956 si poteva ammirare  una lapide che esaltava l’uomo, l’intellettuale, il patriota, il sacerdote che: ”amò di purissimo amore gli studi, la Patria, la Religione” non solo, ma anche e in particolare la Puglia e la sua Terlizzi che ha sempre dimenticato questo suo figlio illustre che ha tanto da dirci, soprattutto oggi, con i suoi insegnamenti e le sue opere. Al termine di questa esposizione biografica di un grande terlizzese, invitiamo le pubbliche autorità a ricordarlo alle presenti e alle future generazioni con la dedica di una strada o di una istituzione.

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sabato 30 Ottobre 2021

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