Cultura

Riprende il restauro degli affreschi del chiostro in Santa Maria La Nova

Nicola Andriani
"Se Dina fè curiositate ardita; / se Sichem fe licentioso amore: / perde colei per quella il più bel fiore/perde costui per questo
I restauratori Giuseppe e Annamaria Chiapparino da più di venticinque anni si dedicano al recupero di preziose opere d'arte sacra custodite nelle chiese diocesane
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Sono ripresi da un mese i lavori di restauro degli affreschi nel chiostro di Santa Maria di Sovereto (Santa Maria La Nova).

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Completata l’acquisizione dei locali che costituivano il chiostro dell'antico convento francescano nel 2006, i lavori, subito iniziati, hanno portato alla luce una serie di affreschi che raccontano molto della vita ecclesiale e anche cittadina della Terlizzi secentesca.

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Inizialmente costituito da stanze singole e separate da tramezzi, il chiostro si presenta oggi nella sua interezza con 18 lunette portate alla luce nell'ex convento, compreso l’ultimo lotto di tre lunette, all'altezza della vecchia sede dell'ACLI. Il piccolo cantiere dovrebbe concludersi entro fine giugno.

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Gli affreschi, liberati da uno strato molto spesso di calce e pitture varie, raccontano le storie dei quattro grandi patriarchi contenute nell'Antico Testamento: Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe.

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Anche quest'ultimo lotto è nelle mani sapienti di Giuseppe e Annamaria Chiapparino, restauratori che da più di venticinque anni si dedicano al recupero di preziose opere d'arte sacra custodite nelle chiese diocesane (possiamo citare, tra gli ultimi interventi, il Cristo deposto all'Immacolata, l'Ecce homo dei S.S. Medici, oltre agli interventi presso il Museo Diocesano e il restauro de “La cacciata degli angeli ribelli” a Ruvo di Puglia).

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“Ogni momento di restauro è un momento di studio”, chiosa Giuseppe, quando mancano i documenti è il monumento stesso che diventa documento e trasmette delle informazioni.

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Queste superfici tornano a parlare dopo secoli di oblio, raccontando un'epoca poco nota e mostrando un restauro che arricchisce il patrimonio culturale di una città intera. Non abbiamo una data certa di realizzazione degli affreschi, ma li possiamo inserire in una forbice certa tra il 1627 e il 1660; bisogna immaginare che fino al 1800 nessun documento citava la presenza di affreschi che sono unici nel loro genere. Infatti, pur essendo un convento francescano (tra le scene troviamo numerosi ritratti di beati francescani, come il Beato Giacomo da Bitetto) siamo di fronte a narrazioni dell'antico testamento. Ai piedi di ogni lunetta troviamo un cartiglio che esplica la scena in quartine composte da endecasillabi in rima alternata. “Il loro intento” ci dice Giuseppe Chiapparino “è quasi didattico, a indicare un atteggiamento morale giusto e corretto, il che fa pensare a una regia unica di un uomo colto, forse l'abate o il padre provinciale francescano.

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Un altro dettaglio che denota la grande cultura presente in quello che era un luogo di trasmissione del sapere (presso il convento era infatti presente uno Scriptorum, un'importante biblioteca attorno alla quale si raccoglievano gli eredi di prestigiose famiglie della provincia) è che ogni affresco riporta spesso uno stemma gentilizio, a indicare forse piccoli lasciti che queste famiglie destinavano alle opere del convento.

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“La bellezza di questo lavoro”, ci dice Annamaria, “è proprio nella scoperta. Queste lunette ci parlano di come vivevano monaci e popolo. Studiando gli affreschi, anche sull'autore cominciano ad affacciarsi delle ipotesi che potrebbero fare attribuire il lavoro alla bottega bitontina di Carlo Rosa, aquilano di scuola napoletana. Nelle lunette troviamo infatti tratti differenti, probabilmente opera di diversi allievi.

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Il complesso di Santa Maria La Nova, storicamente il più importante di Terlizzi, nasce sul finire del quattrocento (alcuni documenti parlano del 1500 come anno di fondazione) negli anni in cui i francescani si andavano insediando nelle città. A Terlizzi, scomparsi gli altri ordini monastici, troveremo così i Minori Osservanti (anche detti "padri zoccolanti") i Cappuccini e le Clarisse. La chiesa era completamente diversa rispetto a ciò che osserviamo oggi, frutto di ampliamenti e sostituzioni iniziate in epoca settecentesca e concluse nel XIX secolo.

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La Storia è passata attraverso quelle pietre ma abbiamo la fortuna di aver conservato altari e tele importanti, che mostrano un’eredità artistica di assoluto valore: possiamo citare le tele dei “Veneti” Savoldo con la pala d'altare di Antonio De Sacchis (detto “il Pordenone”), entrambe tardo-rinascimentali, insieme a quelle barocche raffiguranti una la Madonna del Rosario, attribuita con certezza a Nicola Maria Rossi (dallo storico Francesco De Nicolo), con quella di ambito caravaggesco firmata e datata dal napoletano Giuseppe Marullo (1660).

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domenica 4 Aprile 2021

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