Attualità

«Cara dirigente, non sempre le leggi sono giuste: le identità vanno tutelate»

Gianpaolo Altamura
Gianpaolo Altamura
Nuovo polo liceale a Terlizzi
La professoressa Vangi Drago, ex docente del Liceo Classico "Sylos", risponde alla dirigente scolastica del Polo Liceale Anna Maria Allegretta
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Non accenna a placarsi l’escalation polemica relativa al caso del riassetto del corpo docente deciso, a partire dall’anno scolastico appena iniziato, dalla dirigente scolastica del Polo Liceale, Anna Maria Allegretta.

Che ieri ha replicato attraverso le colonne di TerlizziLive all’intervento della professoressa Vangi Drago, ex docente del Liceo Classico “Sylos”, sostenendo che i criteri correnti di assegnazione dei docenti alle classi sono stati votati all’unanimità dai docenti stessi dell’istituto di viale Gramsci.

La storica docente di latino e greco del liceo terlizzese ha indirizzato a sua volta una controreplica alla preside, affidandola alla nostra redazione. La riportiamo integralmente.

GentilissimanDirigente del Polo Liceale,

giungonongradite le sue considerazioni in merito al mio intervento del 6nottobre: devo, tuttavia, correggere, in via preliminare, la suanaffermazione quando scrive di una «lettera a lei indirizzata». Comenle sarà agevole rilevare da una lettura più attenta del testo chenho inviato al giornale, il mio si configura, tecnicamente, come unn“intervento pubblico” su una incresciosa vicenda che stanriguardando la comunità cittadina. Le basterà andare oltre ilntitolo, che come è noto viene stabilito dalla Redazione, secondo unanconsolidata consuetudine di ogni testata locale o nazionale, perncomprendere che solo per un espediente giornalistico, peraltronefficace, il mio pezzo è diventato una lettera aperta (il titolo danme proposto era Ilnliceo Classico e le leggi non scritte).

Ilnmio intento era di intervenire in un dibattito su una questionenspecifica che mi è molto a cuore, all’interno di più generalinconsiderazioni sul sistema pubblico della formazione, dato anche ilntenore piuttosto mediocre del dibattito su questi temi nel nostronPaese (dove per Paese intendo, ovviamente, il contesto italiano).

Minsorprende, dunque, il suo «stupore»: chi opera all’interno dellanscuola dovrebbe avere tutto l’interesse a che le questioni piùnrilevanti che riguardano la vita pulsante di questa istituzione,nspesso umiliata e vilipesa dalla politica nazionale, divenganonoggetto di condivisione e discussione. È ancora lecito intervenirenin un dibattito pubblico? Da questo punto di vista, dunque, sarebbenstata del tutto inopportuna una mia intromissione di caratterenpersonale, sotto forma di lettera privata, nelle scelte dellanistituzione che dirige, così come incongruo è il suo pur gentileninvito a un confronto privato nelle stanze chiuse di una presidenza.nCapisce bene che il dibattito (e anche il conflitto delle opinioni) onè pubblico o non è. Tertiumnnon datur.

Quantonallan«scuola di oggi» e alle «trasformazioni che essa ha attraversatonnegli ultimi anni», le rivelo di conoscerle molto da vicino non solonper la mia consuetudine quotidiana di lettura e aggiornamento, mansoprattutto per la costante frequentazione degli studenti, liceali enuniversitari, delle loro famiglie, dei docenti più giovani. Le diconfrancamente che non apprezzo ilnclima di dismissione del ruolo educativo che i vari governinnazionali stanno da tempo operandonrispetto alla scuola pubblica, né la scelta di orientarenl’intero assetto della formazione sulla domanda del mercato (questanrotta era già ben individuabile nella riforma Berlinguer-Zecchinonsull’autonomia e la legge 107, la cosiddetta Buona Scuola, ha solonportato a compimento questa deriva). In questo senso, non mi sembranlungimirante lamentarsi della politica locale quando sceglie,nmeritoriamente, di interessarsi di quel vivaio di intelligenze innformazione che è la sua scuola pubblica. Ma si tratta, ovviamente,ndi un discorso assai complesso, che non è possibile banalizzare quinin poche battute.

Minpreme invece segnalare che le sue considerazioni non colgono il sensondel mio intervento. Provo quindi a sintetizzare il mio pensiero:

1)nIl livello del mio discorso era di natura politico-culturale, nonnburocratica (se così fosse stato, avrei dovuto richiamare tutta lannormativa sul pubblico impiego, dalla legge 165/2001 alla 150/2009nsino al T.U.: è una normativa che conosco molto bene avendo svoltonper diversi anni anche la funzione di vice-preside): non ho mainparlato di un “illecito amministrativo”, né inteso mettere inndubbio la liceità del decreto dirigenziale (altre sono le sedindeputate a questo accertamento). Leggo anche il contributo dell’On.nGero Grassi, che interviene ora (almeno ufficialmente) nel dibattito.nAlla sua opinione secondo cui «le decisioni della dirigente sono innlinea con la legge e funzionali solo al miglioramento della scuola»nmi sento di replicare che le due affermazioni non necessariamentencoincidono: non sempre, infatti, la legge è anche giusta (non ancaso, il titolo originario del mio intervento faceva riferimento allen“leggi nonnscritte”ncon chiaro riferimento al testo capitale del diritto occidentale,nl’Antigonendi Sofocle);

2)nÈ sin troppo ovvio che tutti gli indirizzi di scuola abbiano parindignità: così ovvio che mi sembra assurdo persino discuterne. In«premi e le punizioni» si riferivano, evidentemente, non già aindue indirizzi di scuola (il Classico e il Pedagogico), bensì allanlacerazione della continuità didattica, alla interruzione dellanconsuetudine con le proprie materie di insegnamento e con glinstudenti e dunque alla perdita di quella specificità che ognindocente matura. Questa specificità non è che un bene per glinstudenti! Ogni docente è uno specialista delle proprie discipline,nnon interfungibile e non intercambiabile con qualsiasi altro. Nonntutto è uguale a tutto e non sempre il “nuovo” e la “mescolanza”nsono cose buone e opportune: occorre farsene una ragione. Per renderencomprensibile il mio discorso devo qui scendere necessariamente innqualche dettaglio. Ebbene. Chi ha consuetudine con i contenuti (len“competenze”, si dice oggi) e con la didattica delle disciplinenclassiche da ben 29 anni, avrebbe certo potuto offrire al meglio lanpropria professionalità in queste specifiche discipline a tuttonbeneficio dei suoi allievi, non certo in una materia che non ha maininsegnato! Questo mi pare un dato incontrovertibile e mi risultandavvero difficile capire come questo cambiamento, questo “nuovo”,npossa essere «al servizio degli studenti» (cito le parole dell’On.nGrassi). Senza contare che questo spostamento, del tutto immotivatondal punto di vista didattico, inciderà anche sulle carrierenindividuali dei docenti implicati: quando il docente di greconaccompagnerà alla maturità la classe in cui, in modo residuale,ninsegna ancora la propria disciplina, dovrà rinunciare per semprenalla sua specializzazione didattica? E ancora: è la stessa cosaninsegnare filosofia all’indirizzo classico e all’indirizzonpedagogico? Io non direi. Del tutto ovvio che il pedagogico richiedanuna inarcatura specifica, ‘pedagogica’ appunto, con la selezionendi specifici autori e di particolari letture da offrire aglinstudenti, assai diversa da quella prevista dal classico. Ogninidentità va valorizzata e salvaguardata, mai annullata (il rispettondelle differenze è concetto sinanche troppo abusato). Qualunquenspecialista potrà confermarle queste mie banali osservazioni. E,nd’altro canto, persino il buon senso comune ci porta a consultarenun medico “specialista” per curare specifiche malattie, oppure unnavvocato amministrativista per questioni che pertengono alla pubblicanamministrazione e un avvocato penalista per vicende di rilevanzanpenale. Perché mai per la scuola dovrebbe essere diverso? In unnmondo così complesso come quello in cui ci troviamo a operare, lanspecializzazione è, ci piaccia o no, parte integrante del sapere.

3)nComprendo bene quante generose energie occorrano oggi per dirigerenuna scuola. Forsenl’unico metodo che mi sento di consigliarle, cara Dirigente, ènquello della condivisione profonda e capillare di disposizioni cosìndelicate, che interrogano la stessa articolazione democratica deglinorgani collegiali. Ancora una volta, una cosa è la correttezzanformale di una procedura, altra cosa la reale partecipazione deglinstudenti e dei docenti alle decisioni che pertengono alla vita dellanscuola. Visto il clamore e le vibrate reazioni suscitati dai suoinprovvedimenti, mi pare evidente che qualcosa, in questo caso, possannon aver funzionato.

Enallora, è sempre buona prassi, certo, quando non si conoscono lencose su cui si sceglie di intervenire, informarsi e studiare. Non cinsi improvvisa, però, esperti con qualche informazione raccolta qua enlà: occorre studiare molto e molto a lungo. Nel mio caso, ho intesonparlare solo delle cose che conosco bene e mettere a disposizionendella comunità un’esperienza maturata in decenni di insegnamento enmai interrotta.

Prof.ssanLucia Vangi Drago

P.S.nNon posso esimermi, in calce, da un’ulteriore considerazione: trovonassai opinabili i commenti di chi ritiene “definitivo” unnintervento, quale che esso sia, e si adopera ad “archiviare” ensoffocare una discussione democratica e aperta. Si può immaginarenpostura più dogmatica e contraria al metodo della scienza?

giovedì 12 Ottobre 2017

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