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Il 16 aprile: l’incanto dell’attesa di un abbraccio corale

Paolo D. Vallarelli
Il 16 aprile: l'incanto dell’attesa di un abbraccio corale
Una riflessione lirica sul significato profondo di questa giornata, consacrata dal popolo terlizzese alla Vergine di Sovereto
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Non è un giorno qualunque. Un giorno che non puoi far scorrere così…  Il 16 aprile, per tutta la comunità, racchiude intensi significati. Stimola, alla luce di quello che l’intero mondo globale sta vivendo, emozioni, sensazioni ancora più amplificate. Riuscire a volare con i pensieri. La consistenza di quel sogno rarefatto…

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Il sole che ti scalda la fronte. L’attesa dell’apertura delle porte della cattedrale. La gente che si appressa lì davanti. Stai per entrare. Ad accogliere una comunità intera, la Vergine di Sovereto con Bambino. Ora, riapri gli occhi. Il solito e breve tratto di strada, a piedi. La porta della cattedrale chiusa. Il silenzio: assordante e colmo di frastuoni che vengono da chissà dove. La pandemia che opprime cuori e sensazioni; modula un tipo di vita che non ti saresti mai aspettato.

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E l’asfalto: marchiato a fuoco dai solchi lasciati dalle ruote di ferro del Carro delle meraviglie. Forse, anche quest’anno non lo vedremo. Se chiudi di nuovo gli occhi riesci a “sentire” quello che ti sale da dentro. La gioia, la tensione, i bambini che invocano Lei. Resti lì, davanti a quella porta chiusa, purtroppo.  Con la tua fede, con la tua leggenda secolare, da portare sempre nella parte sinistra del petto, dove sta il cuore. 

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Passerà, passerà… come in quella canzone, che parla di un piccolo dolore, di un distacco temporale, ma che intinge di speranza il futuro. Ora più che mai, sono i profumi delle nostre origini che dobbiamo riassaporare. Da lì dobbiamo rinascere, anche se il mondo è fermo. Non dobbiamo mostrare resa. Il 16 aprile: un giorno che è Storia e Memoria. 

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Un 16 aprile che ci vede immobili, assurdamente statici, nostro malgrado.Dovevamo e dobbiamo fermarci, ancora. La fede? È in grado di farci risalire. La fede dà forza; è la fiamma che illumina quel lungo cammino, ora più che mai solo immaginato, interiore. Inseguire (e sognare) un abbraccio corale che non abbiamo più esteso. Un abbraccio vero, finalmente, che sostituirà il gomito con gomito o il pugno contro pugno.

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Ci manca il contatto umano. Quante volte lo abbiamo pensato, restando immersi nei nostri pensieri. E già, quante volte… Il 16 aprile è il nostro giorno. Il giorno di una contemplazione decisamente diversa. Di una ostensione tutta intima e personale. E la fotografia che ha innescato questo scritto, quasi fosse una didascalia lunga e allargata, parla di noi. A mio giudizio, una delle fotografie più belle che siano state scattate negli ultimi anni.

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La pioggia a recitare un ruolo fondamentale in questo lungometraggio d’amore; anch’essa parte integrante della tradizione al limite di una credenza popolare, secondo la quale la Vergine richiami acqua durante il suo ritorno a casa. Un segno, un evento naturale, quasi fosse un rito secolare taumaturgico. Il miracolo dov’è? 

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È nell’acqua che bagna la nostra terra, le nostre fronti madide di sudore; l’acqua è elemento vitale primordiale: un bagno guaritore per chi soffre e che intinge in un ricordo eterno per chi non ce l’ha fatta. Il 16 aprile è il giorno in cui la mano della Vergine, non solo indica la via, giusto sotto le intemperie e le avversità, ma che protegge. Un giorno immutato (e immutabile). Da mille anni. 

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venerdì 16 Aprile 2021

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