Spettacolo

Oltretutto. Più vicino a Don Tonino Bello

Luigi Caputi
Lo spettacolo "Oltretutto" di Michele Santeramo
Ieri sera lo spettacolo di Michele Santeramo
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Il fascino dell’incompiutezza, delle storie che iniziano e finiscono a metà, non finiscono del tutto. La vita di Don Tonino, nel giorno dell’anniversario del suo dies natalis, a poche ore dalla Santa Messa celebrata a Molfetta da papa Bergoglio, appare fregiata più che mai di tale particolare bellezza. Ieri sera, nell’aula Magna “Mons. Antonio Ladisa” del Seminario regionale, è andato in scena l’emozionante monologo letterario e teatrale intitolato “Oltretutto. Più vicino a Don Tonino Bello”.

Michele Santeramo, interprete e autore dell’opera, è stato capace a tratti di ammaliare il pubblico. Ha riscritto e rappresentato la vita del vescovo nato ad Alessano, l’ha rigenerata e attualizzata alla vigilia di una data, il 20 aprile 2018, che rimarrà incisa sulle pietre della storia molfettese.

Lo scrittore e drammaturgo di origine terlizzese si è soffermato sulla labilità e insieme sulla forza di alcune vite, sulla capacità rivoluzionaria dicerte esistenze insostenibilmente leggere. La parabola spirituale di Don Tonino possiede questa forza non violenta, questa invincibilità che non ha bisogno di vincere concretamente per mostrarsi tale. È un movimento di sospensione, tra vita e morte, tra inizio e fine, tra realtà e sogno. È un moto a metà tra trionfo e fallimento, verità e finzione, cielo e terra, emblematizzato dallo sguardo color mare che caratterizza il personaggio del Servo di Dio.

Tutto quello che succederà stasera è inventato- ha esordito Santeramo- non è vero, o forse lo è. È vero come possono esserlo i sogni, i quali una volta sognati partecipano inevitabilmente della realtà, anche e soprattutto quando sono bruscamente interrotti dal risveglio. Le storie che racconterò e leggerò sono storie di vite fuori dall’ordinario, di vite capaci di cambiare altre vite.” E così si è innescato il perpetuo e ipnotico meccanismo di concatenazione tra disparate vicende. Con una struttura circolare, si è partiti da un’immagine di morte di Don Tonino, si è passati attraverso una serie di vite salvate o riscattate, si è tornati alla fine soltanto apparente e meramente fisica del vescovo più amato dai molfettesi.

La ciclicità, la perfezione circolare della ripetizione, ha riguardato inoltre l’ambientazione delle storie: in una circonferenza tra Molfetta, Alessano, Santa Maria di Leuca e Sarajevo è stato reinterpretato l’operato di Monsignor Bello. La prima figura è stata quella di un uomo disteso sul letto, in una stanza aperta sul mare, invasa dall’acqua marina che cerca di attraversare le finestre. L’uomo è prossimo all’estrema unzione, è il 20 aprile 1993. Ritroviamo lo stesso personaggio dieci anni prima; i suoi occhi marini e il suo luminoso sorrisoconsentono a una trafila di disperati di dare una svolta alla loro esistenza. Il personaggio assume le sembianze di un “incardinato disertore”, di un anticonformistico amante della marginalità geografica, sociale e esistenziale. Lo sguardo di mare, foriero di speranza, resta. Il disertore si trova a suo agio in un luogo di confine, nel sud del sud, a Santa Maria di Leuca, nel punto oltre cui c’è soltanto una distesa azzurra. Egli nasconde abilmente la sua identità religiosa, si mimetizza sotto varie sembianze.

In una delle sue avventure Don Tonino è allenatore di una squadra di calcetto, “I meglio di niente”, composta da giocatori variamente menomati. Uno sguercio, con un occhio che è semichiuso e disinteressato al mondo, come portiere. In difesa due fratelli zoppi, in attacco un obeso con problemi di tiroide (“che per dimagrire rischia di morire di fame pur restando grasso”) e un sordo che dà tutto se stesso perché non sente nulla. Il team allenato dall’incardinato vince prima contro “I migliori”, quindi si gioca la finale ai calci di rigore con “Gli imbattibili”.

Ad un certo punto, al momento decisivo, la narrazione si ferma, il sogno si interrompe. “Come va a finire?”- provoca Michele Santeramo- Che vi interessa!? Tanto nulla di tutto ciò è vero. O forse lo è. Se volete proprio saperlo il rigore di Giovannone il grasso termina in rete, e la squadra dell’incardinato vince il torneo.” La medesima distensione del finale si ritrova nella storia di un ragazzo con la fisarmonica, sbarcato con altri 20000 profughi albanesi l’8 agosto 1991 dalla nave mercantile Vlora. L’uomo dagli occhi di mare torna sulla scena e sorride al giovane. Il suo sorriso diviene contagioso, si trasforma in suono della fisarmonica, in canto di tutti i disperati presenti, in nuovo inno alla vita. Il disertore, vescovo della diocesi di Molfetta dall’ 82’, si è fatto alcuni nemici. Ha dichiarato guerra alla guerra, ha intrapreso una lotta di dolcezza contro l’aspra assonanza armi-guerra-militari, contro l’insostenibile rotacismo della violenza. Egli si ammala di tumore, ma non per questo rinuncia alla marcia verso Sarajevo, dove contribuisce con la sua sola presenza sorridente ad un’istantanea tregua. Dopo diversi mesi accade l’imponderabile: nessuno viene ucciso nell’arco di un’intera giornata. Si è scatenato un blocco, un’incertezza tra i due attimi del ricevere l’ordine di sparare e del premere il grilletto.

“Questa pausa è lo spazio della speranza- dice il drammaturgo terlizzese- l’intervallo tra un battito e l’altro del cuore, il momento in cui si può pensare che la vita continui.”Il monologo è terminato con la morte e il funerale dell’uomo che inizialmente era stato raffigurato disteso. Questo decesso priva di qualcosa tutti i molfettesi, ma d’altra parte li arricchisce perché lascia loro in eredità un messaggio di coraggio. “Ho conosciuto Don Tonino da bambino- ha dichiarato nel post spettacolo Michele Santeramo- e quando sono cresciuto mi sono accorto di come la mia vita sia stata cambiata, rivoluzionata da quella del vescovo di Alessano. Il mio mestiere di romanziere mi ha quindi indottoa cercare un racconto inedito, non la testimonianza di fatti reali che chiunque potrebbe fornire. Ho cercato di far rivivere il mio particolare Don Tonino”.

Il Servo di Dio, nell’ottica di un’opera come “Oltretutto”, si sdoppia, si moltiplica pirandellianamente in tanti diversi io. Cambia, rivoluziona, riscrive tutte le vite con cui entra in contatto. È una vita che non si compie mai, non può finire, che rivive in chiunque sia capace di comprenderla e reinterpretarla adeguatamente.

venerdì 20 Aprile 2018

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