Spalla

“​Sei Nazioni” di rugby, l’Italia under 20 a Bari. Cinque motivi per innamorarsi della palla ovale

Nicola Palmiotto
Galles-Italia under 20
Domani alle 15 allo stadio "Della Vittoria" la sfida contro la Scozia per evitare il cucchiaio di legno
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Il Sei Nazioni sbarca in Puglia. Domani pomeriggio alle 15 allo stadio “Della Vittoria” di Bari le nazionali under 20 di Italia e Scozia si affronteranno nell’ultima partita dell’edizione 2018 di quello che, anche a livello giovanile, è il rugby’s greatest championship, per usare il claim che campeggia sul sito web della manifestazione.

In realtà, limitatamente all’emisfero nord, il torneo ha tutte le carte in regola per fregiarsi di questo titolo: la prima competizione risale al 1883 (all’epoca vi partecipavano solo le formazioni britanniche) e in 135 anni di storia ha accumulato fascino e prestigio enormi. Di questo mondo, ovviamente imbevuto di cultura british, dal 2000 vi fa parte anche l’Italia. Diciamolo subito, noi azzurri siamo un po’ i parenti poveri, visto che abbiamo conquistato (si fa per dire) ormai 13 volte il famigerato cucchiaio di legno, attribuito alla squadra ultima classificata.

A voler vedere il bicchiere mezzo pieno è pur vero che la Francia, ammessa nel torneo nel 1910, ha atteso 44 anni per la prima vittoria. Perciò è fondamentale allevare i giovani virgulti e soprattutto andarli a sostenere, anche perché i prezzi dei biglietti sono popolari e gli under 14 entrano gratis. Se ancora non siete convinti ecco alcuni ulteriori motivi per cui vale la pena domani pomeriggio andare al “Della Vittoria”.

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  1. Passarsi la palla indietro per avanzare. Questo è un gioco per duri in cui spesso si sguazza nel fango, ci si danno delle botte, alcuni giocatori hanno le orecchie a cavolfiore (dalli e dalli a sfregarsi nelle mischie), ma è anche un gioco in cui difficilmente alla fine degli 80’ di gioco non emergono i veri valori in campo. Ma l’aspetto più significativo è quello di passarsi la palla all’indietro per avanzare tutti insieme. Un assurdo spettacolare, per usare una definizione di Baricco, che riassume forse lo spirito del gioco: volersi sfidare a viso aperto, senza troppe alchimie né sotterfugi. Chissà che non sia questo il motivo per cui noi italiani non eccelliamo.
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  3. Evitare il cucchiaio di legno. Se è vero che in questo sport non siamo fenomeni è anche vero che i ragazzini dell’under 20 sono veramente tosti (ma anche le donne non se la cavano male). Una settimana fa hanno ottenuto una vittoria storica, battendo a domicilio i gallesi</a>; ma in questo torneo gli azzurrini hanno dato del filo da torcere quasi a tutti, perdendo di misura in Irlanda e creando non pochi grattacapi all’Inghilterra campione in carica. Nell’ultima partita contro i pari quota scozzesi, che in classifica hanno i nostri stessi punti, possiamo provare a lasciargli in regalo il cucchiaio di legno. E non sarebbe male per niente.
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  5. Si tifa rilassati. Dimenticatevi l’adagio secondo cui gli italiani vanno allo stadio come se andassero alla guerra e vanno alla guerra come se andassero allo stadio. Negli stadi del rugby non c’è nessun nemico da dileggiare o peggio ancora da abbattere. Si vede la partita fianco a fianco con i tifosi avversari ognuno con in mano la propria birra, tifando per la propria squadra (come è successo a questi spettatori la settimana scorsa in Galles). Sarà pure un filo snob (è sicuramente lo è) ma in molte parti del mondo il fatto sportivo si vive così.
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  7. Il terzo tempo. Al fischio finale, dopo essersele date di santa ragione, gli avversari si stringono la mano e si applaudono a vicenda; inoltre dopo la partita vincitori e vinti si ritrovano insieme per bere e chiacchierare. Una usanza mutuata anche dai tifosi, che alle pinte scolate nel pre partita e sugli spalti aggiungono volentieri anche quelle del post.
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  9. Non si vive di solo calcio. Intanto la nazionale di rugby a differenza di quella del calcio andrà ai mondiali del 2019 (lasciamo stare che nel girone ha pescato Sudafrica e Nuova Zelanda). Inoltre fa sempre bene conoscere e – perché no – appassionarsi a uno sport “meno popolare” almeno a queste latitudini, che, come capita per molti altre discipline, si regge sugli sforzi di società e appassionati e che meriterebbe invece maggiore attenzione.

giovedì 15 Marzo 2018

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