L'intervista

Don Tonino con occhi di nipote: «Quando zio mi insegnò a guidare la Ritmo…»

Pasquale Caputi
Don Tonino Bello nelle vesti di zio
Stefano Bello è l'amatissimo nipote di Don Tonino. A poco meno di due mesi dall'arrivo di Papa Francesco per celebrarne la figura, traccia un profilo umanissimo e stupendo del nostro vescovo
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Don Tonino Bello era semplicemente… don Tonino. Almeno per noi. Chi ha avuto la fortuna di chiamarlo zio, però, ci racconta le pieghe più intime del nostro amatissimo vescovo. Pagine di un diario stupendo, che oggi, a poco meno di due mesi dalla venuta del Papa per onorarne la figura, condividiamo con tutti i lettori. Lo facciamo tramite le parole del nipote Stefano Bello.

Stefano Bello, se pensa a suo zio cosa le viene in mente?
Quando zio Tonino ci ha salutato per l’ultima volta avevo 20 anni. Tanti sono i ricordi dei momenti vissuti accanto a lui e non si possono riassumere in un solo pensiero, ma sicuramente il più significativo è quella raccomandazione che mi fece in punto di morte: vivere una vita onesta, trasparente e a disposizione degli ultimi perché questo mi avrebbe riempito il cuore di gioia.

Ci racconta qualcosa di lui con occhi di nipote?
Era l’incredibile persona che tutti vorrebbero per zio. Mi ha insegnato a guidare a 14 anni con la sua Ritmo blu, mi ha insegnato a giocare a calcio e a nuotare nel mare di Leuca, consolava quando tutti sgridavano. Mi ha dato il coraggio di osare quelli che lui chiamava i sogni diurni cioè di capire che niente è utopistico, che tutto è raggiungibile se si ha la forza della fede.

Sogni diurni. Un’antitesi solo apparente?
A volte è sufficiente cambiare l’ordine delle parole per ricavarne un significato opposto. È necessario rinunciare ai segni del potere e prestare la massima attenzione al potere dei segni. Non è sufficiente consolare gli afflitti ma bisogna anche avere l’audacia di affliggere i consolati. Soprattutto bisogna avere il coraggio di osare le armi della pace per gridare a tutti che la guerra è la più grande bugia che l’uomo abbia inventato.

È l’eredità di Don Tonino?
Un’eredità pesante, quasi una spada di Damocle che pende sulle nostre teste, perché si ha la paura di non essere degni rappresentanti della sua persona. Venticinque anni fa papà e zio Trifone, comprendendo l’importanza di conservare questagrande eredità spirituale, insieme ad un gruppo di persone che hanno avuto un vissuto con lo zio, si sono costituiti in fondazione Don Tonino Bello con lo scopo di conservare e allo stesso modo diffondere quello che è stato il magistero del loro fratello. In questi lunghi anni con impegno e amore fraterno hanno portato il messaggio di Don Tonino in tutto il territorio Italiano facendo conoscere le vicende che hanno caratterizzato la vita di zio a tantissima gente.

Lei che ruolo ha nella fondazione?
Da circa otto anni sono il vicepresidente e l’impegno che mi sono proposto è quello di dare continuità al lavoro di mio padre, con devozione, umiltà, pregando il Signore affinché mi dia sempre la forza di essere all’altezza di questo compito. Per usare una celebre citazione dello zio Tonino direi: servo inutile a tempo pieno!

A volte non avete il timore che qualcuno lo strumentalizzi?
Credo che come succede per i grandi uomini ci sia sempre qualcuno che lo tira per la tunica. Mio padre è sempre stato molto vigile perché questo non accadesse, perché nessuno potesse speculare sul nome di zio Tonino ed in più occasioni si è espresso ammonendo chi ha cercato di utilizzare il suo messaggio per perseguire i propri interessi. Ricordo quando , durante un comizio elettorale, interrompendo chi si faceva impropriamente portatore della parola di suo fratello, chiese di smettere di strumentalizzare il suo pensiero, generando grande stupore tra i presenti. Il suo messaggio è rivolto a tutti: cristiani, religiosi, laici, atei, perché è stato un vescovo del popolo e il suo popolo per primo ne invoca la santità.

Ci ricorda qualche aneddoto che le è rimasto nel cuore?
Me ne vengono in mente due. Ricordo il giorno che mi insegnò a nuotare nel mare di Leuca perché ha dato seguito negli anni successivi ad una grande passione per il nuoto. Quando avevo 5 anni era solito portarmi in mare sulle sue possenti spalle. Io, sicuro di questo grande nuotatore, mi avventuravo nel mare di Leuca tutte le volte, che libero da impegni, ci veniva a trovare. Un giorno mentre ero come al solito aggrappato a lui, con uno scatto di reni, sicuro ormai di avermi trasmesso le giuste nozioni, si liberò della mia presenza. Io rimasi solo in mare e nello stupore mi misi ad urlare: zio, zio sto nuotando da solo, so nuotare, so nuotare! Ho ancora impressa nella mente la luce che brillava nei suoi occhi quel giorno. Nei successivi quindici anni fu un susseguirsi di gare di stile libero che puntualmente finivano con una sua vittoria. Al termine di ogni gara mi diceva: sei e sarai il più forte nuotatore del mondo, campione grande dello zio tuo. Quando eri là a compiacerti del complimento puntualizzava: uno solo ti darà sempre filo da torcere e indicandosi, mi faceva capire che probabilmente non lo avrei mai battuto.

L’altro?
Avevo circa 15 anni quando mi insegnò a guidare la sua Ritmo blu. Mio padre si raccomandava di non prendere queste iniziative ma zio Tonino, che in me riponeva grande fiducia, si congedava con la scusa di una passeggiata sulla litoranea e quando eravamo a distanza di sicurezza da occhi indiscreti, mi faceva passare alla guida e pazientemente mi indicava i trucchi per imparare a guidare. Il consiglio che mi dava sempre era quello di pensare soprattutto a come avrei dovuto reagire in una situazione di pericolo, anticipando mentalmente una possibile situazione pericolosa. Mi diceva sempre:ricordati Stefano, quando da una strada vedi uscire un pallone, nel 99% dei casi, vedrai un bambino che lo sta rincorrendo. Ancora oggi quando sono alla guida anche per brevissimi spostamenti, quegli insegnamenti orbitano nella mia testa.

Insegnamenti… parola chiave quando si parla di Don Tonino.
Ogni volta che con mia sorella e le mie cugine parliamo di zio Tonino, non possiamo non ricordare le interminabili passeggiate al mare e in campagna, i suoi racconti sull’origine del creato, la spiegazione sempre esauriente che forniva ad ogni domanda, il declinare versi in latino per ogni cosa che osservava, ma soprattutto i valori che da sempre ci ha trasmesso: l’amore profondo per le nostre radici, l’amore per la famiglia e per il prossimo.

Papa Francesco non a caso gli renderà merito.
Sono molto emozionato perché vivere il pontificato di Papa Francesco è un privilegio unico. La scelta del Santo Padre di visitare i luoghi di zio Tonino è molto significativa, perché indica la direzione che la chiesa intende sostenere, promuovendo testimoni straordinari, che con il loro operato sono stati esempi autentici di vita evangelica.

Pensa che la visita possa accelerare il processo di beatificazione in corso?
Non nascondo che nutro una certa speranza che accada, ma non perché desidero che zio Tonino diventi una statua, al contrario perché possa essere la stella luminosa alla quale noi tutti guardiamo per affrontare gli impegni della nostra vita. Ho l’amarezza di non poter partecipare alla messa solenne che si terrà sul molo di Molfetta dove 25 anni fa migliaia di persone con le lacrime agli occhi salutavano per l’ultima volta il loro amato pastore; per una questioni di tempi, anche bruciando l’asfalto non riusciremmo ad arrivare, ma seguiremo sui maxischermi con la massima attenzione tutto ciò che avverrà nella vostra meravigliosa città, che tanto ha dato a mio zio e tanto continua a dare a noi parenti ogni volta che siamo ospitati nelle vostre comunità.

In conclusione, in cosa risiede la straordinarietà di suo zio?
N
el suo essere normale, nella capacità di vivere una vita nella pienezza della parola di Gesù. Lo zio non ha aggiunto niente di più a quelle che sono le indicazioni del Vangelo, ha avuto l’audacia di credere in una chiesa del grembiule, come amava definirla, aprendo le proprie chiese ai poveri (anche una sagrestia può bastare ad un povero). Incontrando la gente per strada, ascoltando il grido della povertà nelle zone dimenticate di Molfetta, portando una parola di conforto e non solo a tutti i dimenticati della società, facendosi quasi arrestare per aver testimoniato solidarietà a chi vedeva negata la dignità del lavoro, soffrendo per chi la società aveva bollato come barbaro assassino in quanto anche lui figlio dimenticato della comunità. La scelta di Papa Francesco di sposare la chiesa degli ultimi è in perfetta sintonia con la chiesa del grembiule tanto amata da zio Tonino e mi fa capire che le buone sementi che ci raccomandava di mettere da parte, stanno finalmente germogliando.

venerdì 16 Febbraio 2018

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